CHIARIMENTI SUL MES (Meccanismo Europeo di Stabilità)

Un documento del Movimento Federalista Europeo (MFE) fa chiarezza sulle ultime polemiche riguardanti il MES:


Il dibattito – che il Ministro dell’Economia Gualtieri ha giustamente definito “comico” – sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) che sta dividendo il governo e il Paese, è in realtà un segno drammatico dell’inaffidabilità europea dell’Italia a livello politico. Quanto accade in Italia ha preoccupanti analogie con le vicende che attraversa il Regno Unito dal momento in cui  ha messo in dubbio la sua appartenenza all’Unione europea. La differenza è che l’Italia è un Paese fondatore, è membro dell’Eurozona, ha un debito pubblico al limite della sostenibilità e la crescita più bassa all’interno dell’area euro. Un Paese come il nostro può sperare di non subire i contraccolpi devastanti delle sue fragilità solo se rimane saldamente ancorato al quadro europeo e agli strumenti che l’Unione europea ha costruito per salvaguardare il proprio sistema dalle crisi che proprio l’Italia (più di ogni altro membro, a questo punto) potrebbe innescare nel momento in cui i mercati perdessero fiducia nella garanzia europea che fa da scudo al Paese. Mettere irragionevolmente in discussione gli accordi negoziati dal precedente governo per riformare il MES, e minacciare di ritardarne la ratifica, o addirittura di porre il veto, vuole semplicemente dire che si cerca di creare le condizioni perché la profezia del fallimento del paese si avveri, reiterando la tecnica utilizzata dal precedente governo di ricattare i partner o addirittura di cercare di creare le condizioni di crisi che spingano all’uscita dell’Italia dal quadro europeo. Inutile soffermarsi sui risultati che ne deriverebbero.
Meglio allora chiarire alcuni dei punti in questione per orientarsi in questo dibattito.


Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è uno strumento intergovernativo fondato su un accordo separato tra i Paesi euro al di là del diritto UE.
La decisione di procedere con un accordo intergovernativo dell’Unione è stata una scelta operata dagli Stati membri dell’Area Euro (i soli che lo hanno sottoscritto), che si sono così garantiti il pieno controllo del funzionamento del Meccanismo, pur attribuendo alla Commissione europea il ruolo di supervisione nella valutazione dei debiti degli Stati membri.
Ideato nel 2011 per affiancare (di fatto per sostituire) la European Financial Stability Facility (EFSF) che la Commissione aveva creato per il sostegno ai paesi in difficoltà, al contrario di quest’ultima, che era dotata di un bilancio limitato, ha una base di 80 miliardi di euro (versati proporzionalmente in base al PIL dai governi nazionali) in grado di attivare un capitale complessivo (in caso di necessità) di 700 miliardi. Una dimensione, pertanto, in grado di affrontare, o almeno tamponare, in maniera credibile un problema finanziario serio che dovesse emergere in un Paese membro, anche di grandi dimensioni, attraverso un aiuto finanziario condizionato finalizzato a rimettere in sesto il Paese a rischio default affinché nel medio periodo possa ritornare a finanziarsi da solo. Le condizioni del prestito sono negoziate dallo Stato beneficiario e dalla Commissione europea che agisce a nome del MES. L’attivazione del MES è anche la condizione che permette alla BCE di intervenire a favore del Paesi beneficiari acquistando il loro debito attraverso il Piano Outright Monetary Transactions.
A garanzia dei Paesi che erogano una quota del capitale del MES di dimensioni fortemente superiori rispetto ai partner, la governance del MES (che fa capo in ultima istanza all’Eurogruppo, ossia ai Ministri delle Finanze dei Paesi aderenti) prevede un meccanismo di votazione che attribuisce (di fatto) il diritto di veto alla Germania, all’Italia e alla Francia.

Negli ultimi anni si è ipotizzato di utilizzare il fondo come base per gestire ulteriori competenze, come il cosiddetto common backstop per il fondo unico di risoluzione, previsto nel quadro del percorso verso l’unione bancaria; ossia per garantire il salvataggio degli istituti di credito in caso di dissesto finanziario, nella logica che il sistema bancario europeo abbia una rilevanza strategica per l’intera economia continentale e che quindi vada tutelato a livello complessivo, in maniera solidaristica (cioè con le risorse di tutti) e che vadano scoraggiate speculazioni contro le banche.
Per adattare il MES a questo scopo occorreva però modificarne lo statuto. I negoziati sono iniziati nel dicembre del 2018 e nel giugno del 2019 l’Eurogruppo ha raggiunto un accordo di massima sulla riforma, che dovrà essere firmato dai Capi di Stato o di governo nel dicembre 2019 e poi essere ratificato dai parlamenti nazionali.
Il dibattito sulla riforma del MES (ormai chiusa a giugno) si è incrociato con le proposte del Ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz avanzate a settembre per procedere al completamento della terza fase (ancora mancante) dell’unione bancaria attraverso la creazione del fondo comune di assicurazione sui depositi (la garanzia a favore dei conti correnti dei cittadini). I due temi sono correlati nel senso che entrambi (la nuova funzione di backstop del MES e l’ipotetico fondo comune di assicurazione sui depositi) sono strumenti europei di condivisione dei rischi e dei costi in caso di crisi bancaria che vanno a completare la creazione di un’unione bancaria dell’Eurozona, ma sono al tempo stesso due temi separati. Le condizioni sotto alcuni aspetti inaccettabili ipotizzate da Scholz per la creazione di un fondo unico di assicurazione sui depositi richiamano alcune clausole che erano state (in modo analogo, al di là delle specificità dei due strumenti in discussione) inizialmente proposte anche per il MES, ma che erano state respinte e che pertanto non compaiono più nell’accordo raggiunto a giugno. Nonostante la valutazione di inaffidabilità da parte dei partner europei nei confronti del governo italiano allora in carica, quest’ultimo era riuscito (grazie al Ministro Tria in particolare) ad ottenere condizioni eque, per quanto frutto di compromessi tipici di un accordo intergovernativo.
La riforma concordata pertanto prevede, accanto alla novità che il MES potrà sostenere il sistema bancario europeo in caso di emergenza (common backstop) attraverso una linea di credito al fondo unico di risoluzione, che:
-        il MES possa aprire delle linee di credito ai Paesi in difficoltà finanziaria anche se non ancora prossimi al default, purché rispettino le regole del Patto di stabilità e crescita;
-        si ribadisce che l’assistenza finanziaria potrà essere erogata solo sulla base della sostenibilità del debito; la novità è che la valutazione della sostenibilità verrà affidata ad un esame congiunto del MES e dei singoli paesi, con la Commissione Europea (prima unica istituzione a compiere la valutazione) a fungere da arbitro in caso di opinioni divergenti;
-        si ribadisce che l’intervento del MES possa essere condizionato ad una ristrutturazione parziale del debito; ma si chiariscono le condizioni di tali eventuali ristrutturazioni, e pertanto le si semplificano, prevedendo che i titoli di stato dei Paesi euro potranno introdurre delle clausole che specificano le clausole per la ristrutturazione del debito indicando le maggioranze dei sottoscrittori necessarie a tale scopo (single-limb collective action clauses).

Gli ultimi due punti sono quelli che hanno suscitato maggiori polemiche, nell’ultimo caso anche perché questo dibattito, come già spiegavamo, si sta intrecciando con l’avvio dei negoziati per il fondo di assicurazione sui depositi. In realtà le nuove clausole facilitano il processo e tranquillizzano pertanto maggiormente i mercati di quanto non facessero le condizioni precedenti. E, analogamente, sulla valutazione della sostenibilità del debito, se è vero che il processo si fa più complesso, l’ultima parola spetta però sempre alla Commissione europea, come prima.

I veri problemi, pertanto, non sono quelli sollevati nel fazioso (e pericoloso) dibattito nazionale. Da sempre i sovranisti hanno attaccato il MES quale simbolo dell’austerità europea che imponine tagli a salari e al welfare contro la volontà dei popoli.
In realtà:
-        la possibilità di una ristrutturazione parziale del debito è già prevista nella formulazione attuale del MES (infatti la Grecia ha parzialmente ristrutturato il suo debito nel marzo 2012); la riforma mira solo a specificarlo meglio;
-        il MES è l’unico strumento di solidarietà europea (condizionata) che possa evitare la bancarotta di un Paese membro ed il conseguente disastro sociale ed economico che ne conseguirebbe;
-        il MES è anche uno strumento di deterrenza (già previsto nella formulazione attuale) in caso di default determinato dal malgoverno o innescato apposta da un governo sovranista, perché non verrebbe attivato automaticamente, ma in base a condizioni precise; questo aspetto politico del MES è sicuramente uno dei maggiori bersagli (reali) dei nazionalisti;
-        i limiti del MES derivano dalla sua natura intergovernativa e dal fatto che esso si alimenta con i bilanci nazionali; in queste condizioni nessuno Stato può e vuole sobbarcarsi il peso di un salvataggio integrale di un altro paese, soprattutto nel caso in cui quest’ultimo sia molto grande. Questo è uno dei motivi per cui può essere richiesta una ristrutturazione parziale.

I problemi del MES derivano allora dalla sua natura intergovernativa, che i nazionalisti ovviamente non mettono in discussione. Perché l’Europa raggiunga una piena stabilità e gli interessi dei cittadini siano tutelati la vera battaglia da fare sarebbe quella per far evolvere il MES nel senso di un primo nucleo di bilancio federale europeo alimentato autonomamente e capace non solo di intervenire per assorbire gli shock economici, ma anche di favorire politiche di crescita e di sviluppo in tutti i Paesi membri.



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