Fuga in Europa. La giovane Africa verso il vecchio continente
Fuga in Europa. La giovane Africa verso il
vecchio continente di Stephen Smith - Einaudi 2018 – XXVII, 164 p.
La
gestione dei flussi migratori e delle politiche di integrazione non può eludere
un’analisi dei dati di fatto e delle strutture delle società (africana ed
europea) che ne conseguono. Il problema, il più sentito dalla società europea,
uno dei pochi sui quali si contrappongono ferocemente visioni del mondo e … campagne
elettorali deve essere, per dirla con l’autore, ‘de-moralizzato’. “Non si
tratta di scegliere tra il Bene e il Male ma di governare la polis
nell’interesse dei suoi cittadini […] da una parte, non bisogna perdere il
senso umanitario […] nella lotta contro l’’invasione’; dall’altra non bisogna
sacrificare il proprio concittadino reale all’astrazione di un uomo senza
qualità’ falsamente universale”. Dal 1960 al 2015 la popolazione a sud del
Sahara è più che quadruplicata passando da 230 milioni a 1 miliardo ed è
l’unica zona del mondo la cui popolazione continuerà a crescere tra il 2,5% e
il 3% fino al 2050, nel 2100 il 40% della popolazione mondiale sarà africana e
soprattutto sarà la gioventù del mondo. Oggi il 40% della popolazione
subsahariana ha meno di 15 anni e questo boom mette alle corde sia le antiche
istituzioni, come il diritto di primogenitura e la gerarchia basata
sull’anzianità, sia la democrazia moderna, considerando che circa la metà della
popolazione non ha diritto di voto. Gli anziani, solo il 5% della popolazione, diventano
de facto dei gerontocrati (“in nessuna altra parte del mondo il divario fra
l’età media dei governanti e quella dei governati è altrettanto grande”),
difensori di valori tradizionali non più agibili nelle mutate condizioni economiche
e sociali. Un tempo infatti la popolazione era così scarsa che “era il bene
collettivo più prezioso, mentre la terra era talmente abbondante che contava a
stento come fattore di produzione” [oggi] “la vita umana ha perso valore [mentre]
la terra è oggetto di mire e brame”. In più l’aumento del tenore di vita, che
le statistiche (per lo più inaffidabili) non riescono a descrivere pienamente, e
la sincronizzazione con il presente del resto del pianeta favorita dalle
tecnologie di comunicazione provocano ulteriori conseguenze non riassumibili in
poche righe, il lettore troverà, attraverso con una prosa leggera, un’analisi delle
città africane cresciute a dismisura, a seguito delle migrazioni interne (che
hanno preceduto e accompagnano quella per l’estero) e delle mutazioni sociali
avvenute all’interno di esse: dalla nascita di un concetto di gioventù prima
assente, alla privatizzazione della scuola, alla forza che in questo contesto
acquisiscono i movimenti evangelici e islamici. Nello stesso lasso di tempo l’Europa
ha ignorato il suo declino demografico e le difficoltà da esso derivanti. A
coloro che cercano nei migranti una soluzione per questo problema l’autore
ricorda che per portare in parità la bilancia tra attivi e inattivi (minori e
vecchi) in Europa dovrebbero entrare circa 80 milioni di immigrati. Numeri
insostenibili dal tessuto sociale europeo. Inoltre, anche con la modesta
immigrazione odierna, se non cambiassero le leggi in vigore, il costo
dell’integrazione sarebbe a carico del contribuente mentre i profitti derivanti
dall’apporto delle “braccia e cervelli” andrebbero per intero ai datori di
lavoro come avvenuto fino ad ora. Non bisogna dimenticare infatti che un flusso
di manodopera straniera è stato attivo, grazie ad accordi internazionali, dalla
seconda metà del secolo scorso e che la politica di chiusura delle frontiere e
dei visti è cosa recente. Quello che è cambiato in seno alla società europea è
che un “brasiliano arricchito” o un “cinese in ascesa sociale” non sono più
così lontani da un lavoratore precario o dal disoccupato europei. La ‘mondializzazione
dell’ineguaglianza’ fa sì che i lavoratori meno qualificati dei paesi ricchi abbiano
perso quella “rendita di civiltà” che li teneva lontani dall’emarginazione
sociale all’interno della propria società. Tornando a casa, di fronte a vicini,
tanto diversi “l’ospite vede mutare il proprio orizzonte esistenziale senza
aver traslocato [e] può accadergli di [sentirsi] straniero nel suo paese. Se
incollerito dirà di essere invaso”. Come nella società americana, il “capitale
sociale” (Putnam) europeo è oggi in crisi. Le due parti di cui si compone, creare
legami con chi ci è affine e costruire ponti con chi è lontano, sono lo
specchio di un impoverimento della nostra cultura. Non si disponendo di un
terreno sicuro per costruire ponti si assiste ad un “ripiegamento su stessi nei
confronti di tutta la società” non solo con chi ci è meno affine. Come arrivare
ad un punto di equilibrio? Nessuno ha la ricetta perfetta, al di là degli
scenari possibili con cui si chiude il libro (alcuni molto inquietanti), forse
si potrebbe raggiungere facendo della cittadinanza (peraltro valore
fondamentale europeo) uno strumento inclusivo e attivo tale da rendere il
(nuovo) cittadino partecipe delle “regole del club” tanto da contribuire, se
occorre, a cambiarle (in meglio si spera).
Franco Botta
Franco Botta
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