EUROPA E TURCHIA.

Uno sguardo mensile alle dinamiche e agli sviluppi delle relazioni nel contesto del Mediterraneo.

·         dicembre in Palestina si svolgono elezioni locali ma non in tutti i distretti. Indagini demoscopiche segnalano che il sostegno alla creazione di uno stato palestinese accanto a Israele è in costante diminuzione, cresce invece il sostegno a una soluzione di uno stato unico. Il silenzio della comunità internazionale sul consolidamento dell’occupazione israeliana, il ripristino delle relazioni tra Israele e mondo arabo e la fallimentare politica dell’ANP diventata “Israel’s most effective tool for the continued suppression of the Palestinian people. The PA security forces, trained and equipped by Israel, the United States and Jordan, are the first line of defence for Israeli interests in the West Bank” sono alla base di questo cambio di rotta. Viene lanciata una a valutazione volta a stabilire le priorità per il rilancio della Libia dopo le elezioni che però, dopo l’assalto al palazzo del Governo, ultimo di una serie di scontri tra le milizie, vengono cancellate. Al rammarico europeo si aggiunge l’esortazione a fissare al più presto una nuova data. Ma “in a period where a common policy by the European Union (EU) is missing” Turchia e Russia (anche se vengono adottate sanzioni nei confronti del gruppo Wagner) mantengono la loro influenza. La Turchia anzi, con la firma di un accordo tra il suo parlamento e quello di Tobruk, si pone di fatto come mediatore tra le parti. All’inizio del mese il Consiglio d’Europa avvia una procedura d’infrazione contro la Turchia. É la “logica conseguenza” per non aver scarcerato Osman Kavala a seguito della sentenza della CEDU. A conclusione del Consiglio affari esteri, l’AR Borrell ribadisce la condanna dei comportamenti turchi a Cipro. La crisi cipriota si inquadra ormai nel contesto più ampio di una regione che, a fronte del disimpegno USA e a dieci anni dalle primavere arabe, non ha ancora trovato stabilità. La sensazione che, secondo alcuni, il peggio sia passato si scontra col fatto che il Mediterraneo orientale non è uno spazio condiviso. Che si parli di un nuovo Piano Schuman o di un nuovo processo di Barcellona, “le sue risorse strategiche - petrolio e gas - dovrebbero promuovere la causa della cooperazione, piuttosto che del conflitto [l’Europa dovrebbe] sviluppare una visione e un impegno geopolitici” che ancora non c’è. In ordine sparso europei (e americani) continuano a vendere armi ai contendenti. Anche se la Turchia ha riallacciato canali diplomatici con i vecchi nemici Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti i risultati sono contrastanti. Il rilascio di una licenza da parte delle autorità cipriote alla Exxon e alla Qatar Petroleum e la costruzione di un altro muro al confine greco-turco provocano un nuovo aumento della tensione. La Turchia da parte sua dispone di una industria militare molto avanzata. Il successivo Consiglio Affari generali sull'allargamento segnala - 15033/21 - una stagnazione nella protezione dei diritti fondamentali comune a tutti i candidati. Per quanto riguarda la Turchia (attivissima nel promuovere i suoi interessi nella regione) ricapitolando quanto già detto altre volte conclude che i negoziati di adesione “sono giunti di fatto a un punto morto e non si può prendere in considerazione l'apertura o la chiusura di altri capitoli”. Come al solito il Consiglio plaude (evidentemente le notizie sui migranti nel gelo delle foreste balcaniche non arrivano a Bruxelles), ai “risultati evidenti” che i partner balcanici e la Turchia hanno raggiunto nel gestire i flussi migratori. Il successivo Consiglio europeo si concentra (en) - EUCO 22/21 - sugli sviluppi relativi al COVID-19, sulla gestione delle crisi, sugli aspetti esterni della migrazione (auspica la piena attuazione degli accordi esistenti in materia di riammissione e la conclusione di nuovi), sui prezzi dell'energia e sulla difesa auspicando, anche a dispetto della pace, un rafforzamento della capacità europea di agire in modo autonomo. L’Europa nel tentativo di riprendere posizione nel Caucaso ospita un trilaterale con Armenia e Azerbaijan. Anche la Russia spinge per la normalizzazione turco-armena anche se lo status quo della regione si adatta bene a Mosca. Nonostante le difficoltà sembra che Turchia che Armenia siano pronte a riprendere i colloqui senza precondizioni. La politica estera turca dell’ultimo decennio è stata condizionata dagli obiettivi di politica interna di Erdoğan al fine di consolidare “the party’s ranks and find ways to rally its base, and instead of opting for compromise and geniunie attempt to explain new realities, opted to leverage nationalism”. Lo stesso accade per la politica economico-finanziaria il ministro delle finanze Elvan, contrario alle scelte imposte, si dimette a dimostrazione che in Turchia ci sono difficoltà “nel gestire una crisi valutaria che ha radici storiche più che decennali in un modello di crescita squilibrato basato sull'espansione del credito e l’afflusso continuo di capitali dall’estero… Un gioco assurdamente pericoloso alle spalle dell’economia reale del Paese”. Un gioco non sostenuto dalla motivazione religiosa, si fanno largo invece altri scenari secondo i quali Erdoğan permetterebbe la caduta della lira per dichiarare lo stato di emergenza così da mettere a tacere l'opposizione in vista delle elezioni del 2023 che, scottato dalle sconfitte alle municipali del 2019, non è più sicuro di vincere. Sul fronte Covid invocando l’emergenza (le vaccinazioni vanno a rilento e non c’è chiarezza nella pubblicazione dei dati da parte del ministro della salute) si permette di usare il vaccino turcovac anche se non ha completato la terza fase di sperimentazione. Il decadimento delle condizioni di vita e il giro di vite nelle università degli ultimi anni si riflettono sulle aspettative dei giovani che vanno a cercare all’estero nuove opportunità. In questa situazione assume contorni poco chiari la scoperta una bomba sotto l’auto della scorta di Erdoğan. L’azienda radiotelevisiva di stato accusa il PKK mentre la maggiore attenzione all’elettorato curdo porta il CHP ad aumentare il suo seguito nelle province del sud-est. I curdi, stanchi di perseguire una politica separatista, vogliono avere una parte nell'amministrazione della Turchia e il CHP sembra intercettare questo sentimento. In questo contesto va menzionato anche l'effetto di Imamoğlu, eletto anche grazie ai voti dei curdi di Istanbul, che spesso viene paragonato all'ex copresidente dell'HDP, Demirtaş


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