EUROPA E TURCHIA.
Uno sguardo mensile alle dinamiche e agli sviluppi delle relazioni nel contesto del Mediterraneo.
Luglio/Agosto 2022
Riferendo al PE
Charles Michel auspica, anche se Il dialogo è “difficile”, che si acceleri sull’ingresso
dei paesi balcanici nell’UE. L’impatto della
guerra in Ucraina potrebbe incrementare l’instabilità regionale facendo
riemergere divisioni etniche e nazionaliste. Interessi
economici e strategici impongono all’UE di cercare la pace anche tra Serbia e
Kosovo. Intanto la NATO rafforza il suo contingente militare. Il canale
preferenziale accordato a Ucraina, Moldova e Georgia irrita i governanti
balcanici e crea scompensi nel processo di
allargamento.
Il PE pubblica i documenti “EU
strategic autonomy 2013-2023 From concept to capacity” – PE
733.589 e “Fundamental
Rights of Irregular Migrant Workers in the EU” – PE
702.670
In Libano i risultati delle
elezioni, sebbene abbiano rappresentato un mutamento nello status quo, non
sono riusciti scalfire il sistema
politico che si autodifende bloccando le indagini
sull’esplosione al porto di Beirut. A nulla vale la richiesta di giustizia della
popolazione inoltre lo stallo impedisce il pagamento dei rimborsi assicurativi. Per superare la crisi economica
per l’UE l'unica soluzione
praticabile è l’adozione delle azioni individuate nell'accordo con il FMI.
In vista del referendum sulla
nuova costituzione tunisina la UE esprime le sue preoccupazioni sia
sul testo che sulle sue modalità di redazione. Al momento della vittoria del
“si” di fronte alla bassissima
affluenza spera che
si “preservi l'acquis democratico […] necessario per tutte le grandi riforme
politiche ed economiche che la Tunisia intraprenderà”. La nuova, per molti divisiva, costituzione
regala poteri illimitati al presidente e chiude, secondo la narrativa ufficiale, un decennio di
caos.
Mentre la UE si impegna a formare le
autorità di frontiera, la Libia è di nuovo sull’orlo della guerra
civile. Proteste si
svolgono a Tripoli, Misurata e Tobruk dove i manifestanti devastano la sede Camera
dei Rappresentanti. Le proteste sono rivolte indistintamente ai due governi
incapaci di opporsi alle “predation practices” delle milizie.
La crisi libica si somma alle tensioni che
pervadono il Mediterraneo. In Africa, l’Occidente, errore dopo errore, si trova
a competere con
la Russia e, nel Mediterraneo, a non avere più credibilità in
quello che è il fianco
sud
della NATO. “La Libia attuale è il frutto avvelenato del cosiddetto «atlantismo»” e della palese dimostrazione che i valori
europei sono praticati a discrezione secondo
la convenienza politica. I respingimenti illegali dei migranti ai confini greci,
confermate dal rapporto (“si toxique que
personne ne voudrait le lire”) dell’OLAF e l’acquiescenza di Finlandia e Svezia
(e dell’UE), “due grandi democrazie che hanno fatto della protezione dei
rifugiati un modello per l’intera Europa”, allo scambio tra il loro ingresso
nella NATO e l’estradizione di rifugiati curdi in Turchia sono sullo stesso
piano. Così come la cecità con cui si lascia ad Erdoğan la libertà di diventare “un
jolly indispensabile in questa crisi e al contempo ridare al suo paese lo
status di grande potenza. Una grande minaccia per l’Europa”. Draghi ad Ankara dimentica di
aver di fronte il ‘dittatore’ di cui aveva parlato l’anno precedente e anche Biden,
per costruire un
sistema di alleanze in
qualche modo istituzionale in Medio oriente, siano esse contro la Russia,
l'Iran o la Cina, va da Mohammed bin Salman il “paria” di qualche mese prima.
In risposta al viaggio di
Biden, Erdoğan e Putin si recano a
Teheran. L’incontro dimostra l’inefficacia delle
sanzioni e permette a Putin di dimostrare “qu’il a encore des interlocuteurs et
qu’il peut se permettre de rencontrer un dirigeant d’un pays membre de l’OTAN”.
Dal summit Erdoğan sperava di avere mano
libera in Siria. Pur non avendo ottenuto il via libera per
un’azione in grande stile intensifica gli attacchi
contro le zone curde sia in Siria che in Iraq provocando la reazione di
Baghdad. L’attività militare e la legittimità internazionale sono armi da usare
sul fronte
interno. Per Fayik
Yagizay (HDP) il peggior effetto del memorandum con
Svezia e Finlandia è “dire che le Ypg non sono legittime, sono criminali, e
accettare la narrativa di Erdogan […] l’accordo […] è l’ennesimo prezzo pagato
dai curdi” e dalla Turchia democratica. Travolto dalla crisi economica Erdoğan in “condizioni normali” perderebbe le elezioni
ma i riconoscimenti internazionali e le divisioni dell’opposizione che “non
vogliono in alcun modo essere associate all’Hdp, nonostante […] sia il partito
chiave alle elezioni” gli spianano la strada.
Dal canto suo l’HDP si dice aperto
negoziare un
candidato unico con le opposizioni se verranno discusse le sue richieste. Ad
agosto la riunione delle
opposizioni non vede però presente l’HDP dando ragione a quanti, tra i
sostenitori di Erdoğan, pensano che le richieste curde faranno ribaltare il
"tavolo per sei".
Da qui alle elezioni il
confronto è destinato a diventare sempre più duro e nessuno sa se sarà pacifico
o meno. Erdoğan, dopo avere cancellato lo stato di diritto, creato una burocrazia
partigiana e corrotta (uno dei suoi consiglieri, accusato, si dimette),
essersi circondato di avidi circoli economici, è pienamente consapevole che “The
sheer scale of his abuse of power makes the vote a lethal game of survival: He
simply cannot afford to lose”. La visione del presidente è una repubblica di
tipo centroasiatico con un'amministrazione fedelissima e una società guidata
dalla paura. L'opposizione sembra inconsapevole di tutto questo, spera che sia la
crisi economica a eliminare Erdoğan. Un approccio ozioso che spinge a
procrastinare la presentazione di un contendente carismatico e a tenersi a
distanza dall'HDP confidando che gli elettori di questo partito voteranno
comunque per loro. Intanto i ministri della giustizia e dell'interno, il
Consiglio Supremo Elettorale (con i suoi algoritmi di conteggio dei voti), la Corte
costituzionale, e uomini
armati, affilano le armi. La detenzione di Kavala (per la
CEDU motivata
politicamente), la
scoperta di una pratica di sorveglianza di
massa preventiva, l’arresto della
pop star Gülen, il blocco di
Voice of America e Deutsche Welle delineano il clima della repressione pre-elettorale
Il tallone d’Achille del
Presidente è l’economia. Con
il continuo deprezzarsi della
lira sul dollaro e l’inflazione al 70% la crescita, favorita dal taglio
degli intessi, lontana dal produrre benefici, si traduce in un
aumento del divario dei
redditi lasciando la classe media senza protezione.
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