EUROPA E TURCHIA.
Uno sguardo mensile alle dinamiche e agli sviluppi delle relazioni nel contesto del Mediterraneo.
aprile 2023
Uno sguardo mensile alle dinamiche e agli sviluppi delle relazioni nel contesto del Mediterraneo.
aprile 2023
Von
der leyen e Macron si recano in
Cina. La presidente della Commissione esprime a Pechino la volontà europea di
ridurre lo squilibrio commerciale e la dipendenza nel campo delle tecnologie
emergenti. Invita inoltre le autorità cinesi a non fornire alcun aiuto alla
Russia. Dal canto suo Macron invece sogna un’Europa che non sia vassalla degli
USA. Nonostante Borrell inviti tutti ad avere una postura meno “cacofonica”
riguardo alle relazioni con
la Cina, la frenata nel perseguire l’autonomia strategica europea dimostra
chiaramente che l’UE “fell back on old models of alliance leadership [… ] It
has instead embarked on a process of vassalisation”.
La ricerca di una voce comune è, per bocca dello
stesso Borrell, al centro del Consiglio affari
esteri di fine mese. Nelle note a fine lavori l’AR, annunciando la prossima
stesura di un position
paper, dà per scontato che la costruzione di
una politica estera comune, in un “mondo frammentato, con due diversi
ecosistemi di sviluppi tecnologici. Con due gruppi” che tentano di attrarre
coloro che non vogliono schierarsi,
passi per il prendere necessariamente “posizione rispetto alla guerra in
Ucraina e rispetto al rapporto con il ruolo crescente della Cina”. Però molti
governi, soprattutto nel Sud del mondo, non condividono questo
pensiero e non vogliono essere trascinati in una lotta che ha poco a che fare
con i propri interessi. È così che mentre Balcani occidentali
rimangono come “a frontline in Russia's geopolitical confrontation with the
West”, la Cina, e la Turchia, riempiono il vuoto creato dalle sanzioni alla
Russia. La UE conta molto sugli accordi del dialogo Belgrado-Pristina
ma la strada per una vera pacificazione è ancora lunga e anche in Bosnia “the
past is disappearing and the future is bleak”. L’Alto Rappresentante Christian
Schmidt al di là di vuote parole, nei fatti ha “repeatedly utilised his mandate
to deepen Bosnia’s ethnic divisions and further strengthen nationalist
forces”. In Israele la spirale di violenza tra
l’esercito e i gruppi armati palestinesi prelude al peggio.
L’accordo per la creazione di una guardia nazionale sotto l’autorità del
razzista ministro Ben Gvir dimostra la connessione tra
lo scontro interno sulle
riforme giudiziarie e l’escalation dell’estremismo contro i palestinesi
alimentata dal governo. “Mentre non capita tutti i giorni che i giornalisti
occidentali usino parole come “pogrom” per
descrivere gli attacchi contro i palestinesi […], capita tutti i giorni che i
palestinesi subiscano violenze e vedano calpestati i loro diritti umani
fondamentali da parte di soldati israeliani, polizia, milizie di coloni – o una
loro combinazione”. In questo contesto l’approccio europeo risulta
anacronistico: il “riconoscere il crescente estremismo sia in Israele che in
Palestina non contempla l’ingiustizia strutturale subita dai
palestinesi e subordina il loro diritto all’autodeterminazione a negoziati
e compromessi”. I politici europei, forse seguendo il consiglio di
non immischiarsi per non fomentare la retorica antioccidentale, sembrano aver
dimenticato le elezioni turche. Ad un mese dalle elezioni Erdoğan presenta
il suo manifesto elettorale
in 31 punti. Risalta come gli enormi progetti infrastrutturali,
l'alta tecnologia, l'industria della difesa, gli investimenti energetici e lo
sviluppo interno hanno come unico obiettivo finale quello di rendere la Turchia
una potenza globale. Il presidente turco, più per guadagnare consenso interno
che per una effettiva nuova rottura con Israele, condanna l’irruzione
della polizia israeliana nella moschea di Al Aqsa a Gerusalemme. Si incontra anche
con Lavrov cercando di rafforzare la sua immagine di mediatore con la Russia e
in Siria. La politica internazionale questa volta però non sembra in grado
di farlo rimontare nei sondaggi che
lo vedono testa a testa con il candidato delle opposizioni Kiliçdaroğlu.
Le perdite derivate dal
terremoto di febbraio, i ritardi nei soccorsi, le violenze dei
militari nelle 10 province in stato di emergenza, gli anni di cattiva gestione
economica (con il conseguente impoverimento di larghi strati della popolazione)
potrebbero costituire un ostacolo insuperabile. È probabile che alcune fette
del suo elettorato come le giovani donne e
i residenti all’estero lo
abbandonino. Di fronte alla possibilità di una sconfitta gli uomini del
presidente rilasciano dichiarazioni minacciose. Per il ministro dell’interno
Soylu, colui che gestisce la sicurezza dei seggi, il 14 maggio è un tentativo
di colpo di stato politico da parte dell’Occidente (il che non lascia ben
sperare in un eventuale passaggio di consegne pacifico). La retorica della
paura però non sembra avere il successo sperato perché Kiliçdaroğlu. ha saputo
ritagliarsi la sua visibilità abbandonando i dogmi più obsoleti del kemalismo.
Infrangendo uno dei tabù più radicati dichiara pubblicamente,
facendo il pieno di visualizzazioni, di essere un alevita. Pochi giorni prima
in un altro post aveva
incolpato l’AKP di calpestare la dignità dei curdi. “He was as if taking slow,
taboo-breaking steps, dealing with the two deeply rooted but veiled
discriminations in Türkiye”. Anche sul velo la sua posizione è contro il
divieto. Inoltre la coalizione di
opposizione, anche se con molte differenze al suo interno, è unita nel voler
detronizzare il sultano per ripristinare il regime parlamentare. L’eventuale
vittoria di Kiliçdaroğlu aprirebbe un nuovo capitolo nelle relazioni tra
UE e Turchia? Non bisogna farsi illusioni “sur
la défense des intérêts nationaux, ils ne feront aucune concession” anche
perché l’entrata nell’UE “n’est plus à l’ordre du jour, ni à Ankara, ni à
Bruxelles”. È probabile che si veda una continuità nella
rivalità energetica nel Mediterraneo orientale e nelle dispute territoriali
della Turchia con la Grecia, senza però lo stile conflittuale che ha
caratterizza la politica estera turca di Erdoğan.
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